Recensioni

Ritorno al tempo che non fu

 


Narrativa. Da un proposito di suicidio alla suprema conoscenza: così sembra il viaggio – esteriore ma intimo – del protagonista; e nel procedere della narrazione si accentua quel sentimento misterioso che appartiene alla realtà secondo una visuale forse romantica — da notare la lievità dello stile, una scrittura limpida ed evocativa, perfetta diremmo, almeno in senso letterario. I ricordi traspaiono sfumati nell’aura di un presente ipotetico: parti descrittive, anzi riflessive (cap. XIII, per es.) si completano con la natura e la sua bellezza. Nessun dissidio tra fede e ragione? Lasciamo al lettore il dilemma, e il piacere di seguire una ‘storia’ condotta con mano maestra.



Di Luciano Nanni - Literary

luglio 2011



Solo una lettura attenta può aiutare ad apprezzare la complessità dell’esordio di Alessandro Pierfederici, pianista e direttore d’orchestra.

Molteplici influenze convergono in Ritorno al tempo che non fu, insolito connubio di religione e psicologia (junghiana), musica e pittura, mito e realtà.


Caratterizzato da atmosfere oniriche e romantiche, il romanzo dello scrittore trevigiano allude alle inquietudini del presente – il crollo dei sentimenti e delle illusioni – facendo però ampio ricorso alla fiaba.

Da un vecchio libro rinvenuto in una casa di campagna il protagonista apprende la leggenda medievale del principe suicida per amore: questa storia si ripete ciclicamente, sotto altra forma, nella narrazione della scomparsa dell’erede alle terre del villaggio rifiutato dall’amata. Ad entrambe si collega la vicenda del protagonista il cui viaggio nello spazio e nel tempo simboleggia un percorso iniziatico alla scoperta di sé.

Fungono da raccordo tra le varie storie archetipi quali la figura del viandante e quella del pescatore, custode del luogo e guida del pellegrino stesso.

Immaginario o reale che sia, il cammino del protagonista si compie attraverso luoghi carichi di mistero (il castello in rovina, il bosco, il cimitero) e diviene un momento di espiazione dal peccato d’orgoglio, il più grave perché impedisce all’individuo di comprendere la volontà divina.

Non sorprende che la figura del protagonista, il quale tenta vanamente il suicidio in seguito ad alcune delusioni amorose, sia modellata su quella del Cristo: solo dopo essersi mondato dalle colpe passate, egli potrà rinascere e donare la speranza agli abitanti del villaggio in cui, in seguito ad una maledizione, la felicità è stata bandita.

Testimonianza di questo percorso verso la salvezza sono dei quadri animati che riflettono l’immagine del protagonista, il quale vedrà premiato il proprio sacrificio ottenendo proprio ciò a cui temeva di dover rinunciare.

Il finale aperto è la chiosa più appropriata per un racconto colto, costellato di dualismi (Bene-Male, presente-passato, vita-morte, viaggio-allucinazione) e caratterizzato dalla simbiosi tra personaggio e paesaggio.


Di Monica Florio

settembre 2011

Il libro che ho appena finito di leggere, è una "opera prima". E Ritorno al tempo che non fu, nel suo insieme , più che uno dei soliti romanzi, potrebbe benissimo appartenere alla categoria delle favole o delle fiabe, proprio perché in queste pagine si annida una densa quantità di fantasia che, qua e là, s'intreccia in una forma che, pur sembrando complicata, è invece comprensibilissima e coinvolgente, perché è pure presente, l'immancabile massa di realtà che lega, in modo veramente interessante, questa strana vicenda che sa sollecitare la curiosità e quindi, cosa veramente importante, l'interesse del lettore fin dalle prime pagine, dove io, attraverso le varie ombre che velano la verità, riesco ad intravvedere molti elementi che potrebbero far definire questo romanzo (e ricordo che si tratta di un'Opera Prima!), non solo un romanzo con molta similitudine con le fiabe più fantasiose, ma anche un libro con caratteristiche che sono prerogative dei libri gialli.

Per questo motivo, faccio il possibile per evitare di ricalcare le orme del "prefatore" che, in sintesi, dà una panoramica ben descritta del contenuto del libro. Io cerco invece, di mettere nel giusto rilievo, la personalità e le notevoli doti narrative, l'ottima fantasia e la incontestabile bravura dell'autore-scrittore che, professionalmente, è un musicista. Ma tutti sappiamo bene che quando si è un artista, immancabilmente si è anche un amante di tutte le Arti in genere e perciò non mi stupisce il fatto che egli può, senza alcune difficoltà, dividersi idealmente in due parti uguali per entrare, con lo stesso entusiasmo, in due mondi che possono sembrare diversi e che, in realtà non lo sono.

Perché il segreto della buona riuscita in entrambi i campi, sta fatto che, sia, per inventar parole, sia per inventar note, il M.C.D. che unisce in maniere perfetta i due artistici elementi, è la "fantasia"! naturalmente corredata da tanti altri piccoli particolari.

E lo scrittore-musicista Alessandro Pierfederici, ha imboccato la strada giusta per arrivare, con successo a due traguardi ugualmente fascinosi. E, immettendoli nel campo della narrativa, dopo aver scritto un libro senza dubbio originale,  Alessandro ha dimostrato di possedere, anche nel campo letterario, un'ottima professionalità.

Con questo fantasioso romanzo, egli ha portato alla luce le sue più intime aspirazioni evidenziando, quasi scenicamente, con l'aiuto delle parole appropriate e con scelte per lo svolgimento della tematica usata. E'. nato così un romanzo che oggi, attraverso la pubblicazione, sarà in grado d'iniziare il suo viaggio fra le gente. E per come l'ho letto io e, per conseguenza, giudicato, sono convinta che riscuoterà molti consensi, perché il suo attingere nell'ambito che incrocia fabula e istoria, fra il brivido del giallo e l'esotico quasi mistico, dà concretezza a quella che può apparire un'avventura ambigua e che  si riverserà invece, dolcemente, entro una delle tante reali avventure della quotidianità, perché in fondo, è una "storia" che si muove entro l'area chiara di un vaso cristallino quale, in fondo, è la mente sempre in movimento dell'uomo, degno habitat di una fantasia pregevole che, con molta maestria ed intelligente acutezza, si scioglie e si dissolve in forma tecnicamente perfetta, aleggiando su queste pagine.

E quando si racconta una storia, qualunque sia il suo reale genere, è come se, nel finale, arrivasse all'orecchio, chiara e serena, una voce melodiosa e concluderla. E qui, in questa appena narrata da Alessandro Pierfederici, pur avendo uno svolgimento dalle tante sfaccettature, sempre di una belle storia si tratta!

Anche se spesso, la vite reale impone di affrontare recite, costruire commedie e farse che possono anche tramutarsi in drammi, proprio mentre il sipario sta per calare sulla scena...

Per cui si sa che ogni sentiero dell'uomo ha sempre il suo immancabile labirinto e che, alla fine, si arriva al termine...

Ma restando con l'attenzione ferma su queste pagine, ritroviamo, inaspettatamente, il Ritorno al tempo che fu , nel momento stesso che il protagonista afferma che "la. sue anima, splendeva nella comprensione di un sentimento universale”, come supreme armonia e bellezze del mondo ogni arsura del Tempo fugge lontano e nell'infinità si dilegua. Anche l'anima esce da una serie d'ingranaggi incastrati in una distesa di tempo infranto, quel tempo che non fu e che oggi, magicamente ritorna, forse carico di promesse rosate, come rosato è il cielo nelle ore che precedono una nuova alba!


Di Flavia Lepre

settembre 2011

Recensione di Diletta Nespeca


Intrigante viaggio iniziatico condotto dal protagonista attraverso il susseguirsi di eventi apparentemente inspiegabili, il romanzo affascina a partire dal suo Incipit, che afferra immediatamente il lettore e lo scaglia nel vivo della narrazione. Le prime battute che recitano: «Questa volta la mia decisione era definitiva (…) morto, avrei cessato di soffrire per l’angoscia dell’impotenza mia e dell’indifferenza altrui» si presentano infatti tali da stimolare la domanda sul perché di una simile scelta e ancor più da incuriosire e suscitare interesse sul cosa succederà dopo.

Senza addentraci nei dettagli del racconto, per non svelare quanto in esso è racchiuso, privando coloro che avranno la possibilità di leggerlo il gusto di conoscere il suo prosieguo, non possiamo fare a meno di soffermarci su altri aspetti che lo rendono piacevolmente fruibile.

Il plot per cominciare, che giunge all’ultima pagina lasciando aperte le possibili interpretazioni da parte del lettore. Una scelta affatto scontata per uno scrittore, che nel caso specifico del Pierfederici sembrerebbe tenere conto della diversità del pubblico a cui si rivolge. E a seguire, la descrizione degli ambienti in cui si svolgono gli avvenimenti, che si rivela sempre precisa, ricca nelle scelte lessicali e il più delle volte molto suggestiva.

Come esempio del modo di procedere dell’autore, valga su tutti questo: «La vegetazione era densa, i fiori numerosi e variopinti; la luce filtrava tra i rami e le foglie, mentre il terreno era ornato di cespugli dalle forme varie (…) Su tutto aleggiava un fascino arcano, come se da un istante all’altro dovessero fare la loro comparsa i più fantastici protagonisti delle antiche fiabe …».

Un libro, pertanto, le cui qualità e potenzialità lo rendono particolarmente interessante a quanti non amano le storie scontate!



di Marilena Genovese

febbraio 2012






Un incontro veramente interessante quello che si è svolto nei giorni scorsi a “La Libreria “ di Novara in compagnia del Maestro Alessandro Pierfederici, che ha presentato il suo primo romanzo, “Ritorno al tempo che non fu”, edito da Edizioni del Leone nel 2011.

Accompagnato dalla scrittrice ed artista lirica Daniela Lojarro  e dalla moglie Lucia Mazzaria (soprano), l’autore ha parlato della sua opera, nata dopo un lungo percorso di maturazione; tenuto la bozza  per anni nel cassetto, il Maestro ha sentito il bisogno di riprendere in mano il suo progetto,  rivederlo dopo dieci anni di vita vissuta, in cui ha fatto altre esperienze musicali, si è sposato ed ha avuto una bambina.

Una revisione influenzata quindi dall’evolversi della sua vita privata e dal suo nuovo bagaglio personale, che ha portato ad una scrittura che rivela anche la matrice musicale dello scrittore; il tutto  accompagnato da uno stile linguistico che fa venire in mente i colori dell’orchestra e la letteratura mitteleuropea;  una delle maggiori fonti di ispirazione dello scrittore è Hermann Hesse, dalle cui parole trae energia per ripulirsi e rigenerarsi.

Nel romanzo si nota la ricerca accurata delle parole, del sinonimo giusto in ogni frase. L’intento sembra quello di creare un flusso sonoro che eviti ripetizioni e dia l’idea di qualcosa che sia “in divenire”, come nella musica. Pierfederici nel testo ripete le parole solo se c’è reale l’intenzione.

Quando qualcuno chiede a quale genere appartiene il suo libro, l’autore risponde: “Appartiene alla fantasia, ma non saprei classificarlo. C’è qualcosa di reale, qualcosa del passato e molto di fiabesco: lo potrei definire onirico, di iniziazione.”

Leggendo il racconto si percepisce l’importanza che ricopre la natura selvaggia, con le minuziose descrizioni di campagne floride e rigogliose: all’inizio essa si presenterà come nemica, ma pian piano l’uomo scoprirà di fare inevitabilmente parte di essa.  “Vivo nell’arte – spiega Alessandro Pierfederici – Il legame tra arte e natura esiste ed è fondamentale nell’arte. L’amore per la natura ispira l’arte.”

Particolare la scelta dell’autore di non dare nessun nome ai protagonisti: solo durante il viaggio di ritorno ogni personaggio avrà un nome vero, simbolo della rinascita interiore.

L’obiettivo dell’autore con “Ritorno al tempo che non fu” è quello di offrire al lettore una piccola possibilità di risposta, che è nella propria umanità. Il protagonista attraverso le  tappe del suo viaggio affronta le paure  e piano piano recupera i valori della vita. “Si raggiunge la suprema conoscenza solo conoscendo se stessi. Una grande conquista da condividere”.


recensione di ISA VOI

28 febbraio 2012

isa-voi.blogspot.com

cittadinovara.com






Nel romanzo di Alessandro Pierfederici le inquietudini del presente: viaggio nel crollo di sentimenti e illusioni


Alessandro Pierfederici


Una lettura misteriosa, intrigante e stimolante quella che ci regala il “Ritorno al tempo che non fu”, il primo romanzo del Maestro Alessandro Pierfederici.

L’artista si presenta per la prima volta nei panni di scrittore, pubblicando per le Edizioni del Leone nel 2011 un libro tenuto nel “congelatore”, come ama affermare lui; dopo un lungo percorso di maturazione, infatti, l’autore ha ripreso la bozza dal cassetto, ha sentito il bisogno di riprendere in mano il suo progetto e rivederlo dopo dieci anni di vita vissuta, in cui ha fatto altre esperienze musicali, si è sposato con il soprano Lucia Mazzaria ed ha avuto una bambina.

Una revisione influenzata quindi dall’evolversi della sua vita privata e dal suo nuovo bagaglio personale, che ha portato ad una scrittura che rivela anche la matrice musicale dello scrittore; il tutto accompagnato da uno stile linguistico che fa venire in mente i colori dell’orchestra e la letteratura mitteleuropea; una delle maggiori fonti di ispirazione dello scrittore è Hermann Hesse, dalle cui parole trae energia per ripulirsi e rigenerarsi.

Nel “Ritorno al tempo che non fu” il protagonista, deluso dalla propria esistenza, pensa di suicidarsi. Dubbioso, decide di rimandare il triste gesto e nasconde nel tronco di un albero in campagna il coltello con il quale avrebbe voluto tagliarsi i polsi. Lungo il suo viaggio incerto giunge ad una vecchia villa dove viene accolto come un ospite atteso.

Chiedendosi perchè la sua presenza risulta così gradita in quella casa, il protagonista si imbatte in eventi misteriosi, incomprensibili, che avvengono in luoghi strani.

L’idea del suicidio, così, si allontana sempre di più e si disperde: l’uomo percorre una sorta di viaggio iniziatico che gli permette di percorrere la propria interiorità e che, dopo aver raggiunto la meta della piena consapevolezza del proprio essere, fa recuperare le certezze e le emozioni che la vita aveva strappato. Una sorta di rinascita che può avvenire sia durante la vita o può rappresentare il viaggio dopo la morte. I diversi piani in cui esso si svolge si intersecano e si sovrappongono, tanto da non essere distinguibili l’un dall’altro così che, al termine della narrazione, il lettore potrà trovare la propria interpretazione.

Nel romanzo si nota la ricerca accurata delle parole, del sinonimo giusto in ogni frase. L’intento sembra quello di creare un flusso sonoro che eviti ripetizioni e dia l’idea di qualcosa che sia “in divenire”, come nella musica. Pierfederici nel testo ripete le parole solo se c’è reale l’intenzione.

Quando qualcuno chiede a quale genere appartiene il suo libro, l’autore risponde: “Appartiene alla fantasia, ma non saprei classificarlo. C’è qualcosa di reale, qualcosa del passato e molto di fiabesco: lo potrei definire onirico, di iniziazione”.


la copertina del libro


Leggendo il racconto si percepisce l’importanza che ricopre la natura selvaggia, con le minuziose descrizioni di campagne floride e rigogliose: all’inizio essa si presenterà come nemica, ma pian piano l’uomo scoprirà di fare inevitabilmente parte di essa. “Vivo nell’arte – spiega Alessandro Pierfederici – Il legame tra arte e natura esiste ed è fondamentale nell’arte. L’amore per la natura ispira l’arte.”

Particolare la scelta dell’autore di non dare nessun nome ai protagonisti: solo durante il viaggio di ritorno ogni personaggio avrà un nome vero, simbolo della rinascita interiore.

L’obiettivo dell’autore con “Ritorno al tempo che non fu” è quello di offrire al lettore una piccola possibilità di risposta, che è nella propria umanità. Il protagonista attraverso le tappe del suo viaggio affronta le paure e piano piano recupera i valori della vita. “Si raggiunge la suprema conoscenza solo conoscendo se stessi. Una grande conquista da condividere”.



recensione di Isa Voi

10 marzo 2012- Blogtaormina

www.blogtaormina.it

 

RITORNO AL TEMPO CHE NON FU


Infrangere il silenzio dei secoli in una ardimentosa lotta contro il dolore, contro le illusioni, contro le disperazioni, è impresa ricca di stupore e di coraggio che il nostro protagonista realizza. Il viaggio fantasioso e immaginario di un giovane che si sperde e affoga tra visioni multicolori e ineluttabili superstizioni.  Sin dalle prime pagine del romanzo Ritorno al tempo che non fu di Alessandro Pierfederici, l’atmosfera di favola che aleggia nel racconto, anzi nel raccontare, trasporta il lettore in visioni quasi irreali, egregiamente eteree, che lasciano sospesa ogni ipotesi di trasparenze, tra lo svolgersi delle parole, il privilegio del personaggio narrante e le esili significazioni delle visioni. Una strana similitudine si manifesta tra la “selva selvaggia ed aspra e forte” dell’Inferno dantesco ed il bosco sconosciuto nel quale il protagonista si addentra tra incognite e timori. Un viaggio incredibilmente fantasioso che spinge verso aree sconosciute, anche se in fin dei conti ci si ritrova soltanto alla periferia di una città non ben identificata, né definita nei suoi contorni. La selva abbraccia ogni pensiero e ci si addentra alla scoperta di passaggi segreti, di costruzioni cadenti ed antichissime, di stanze ampie e luminose, o di capanne malamente sopravvissute ai tempi, tra figure fumose e apparizioni dalla eterea figura di fata, soggetto principale al quale giungere. Anche qui esistono vari livelli di lettura, proposti in maniera semplice e scorrevole: quello più scontato e superficiale che costituisce soltanto il livello cronachistico insito nel libro, appartenente alla generazione che si propone come autobiografia, nello scorrere di giorni riferiti al passato e vivibili nel presente, e quello – invece – che ricerca l’angolazione psicoanalitica, volta all’inseguimento di una verità che si nasconde pagina dopo pagina, cercando di riconoscere qualcosa di sconosciuto: un rifugio dell’anima nel corollario delle complicate reazioni dell’angoscia e della incertezza.

Una singolare e felice parabola della vita, che agendo con abilità sui due registri, quello dell’Assoluto e quello del contingente, passa agevolmente da un piano all’altro, evitando, così, di restare impaniato nelle sabbie mobili del semplice filosofare, dimensione che, liberata dal confronto con il “vivere”, rischia di chiudere orizzonti, oscurare il sogno, spegnere le parole dei poeti. Lo scavo psicologico si approfondisce nei meandri della psiche, una escavazione che lascia il lettore continuamente ansioso di partecipare agli eventi narrati, anche se questi sembrano essere quasi impossibili, per quella carica di inenarrabile che sostiene le visioni del protagonista. Ancora una similitudine dantesca la possiamo ritrovare in quel brano del libro in cui appare un barcaiolo – una sorta di Caronte ringiovanito e forte – che, addetto al guado tra due rive quanto mai impervie, si presenta più volte, e sempre desideroso di poter raccontare una strana leggenda, oscura, che incombe sul paesaggio, sulle colline, sui cittadini, ormai da un tempo indeterminato, da secoli. Il libro acquista, rovistando e rintracciando i molti segni della storia, l’aspetto di una metafora infinita, cioè di una ricerca del senso storico di certi luoghi, di certi affioramenti del paesaggio, di certe visioni pittoriche, di certi personaggi sfiorati dalla penna, per rintracciare gli atteggiamenti morali che possono venir recepiti tra le riga. Scoprire i momenti musicali nella scrittura di questo ardimentoso e giovane autore, il quale ci offre una sua opera prima veramente corposa e tutta da leggere, impegnandosi nella metafora che avvince e coinvolge, non è semplice motivo di ritrovarsi nella memoria del ritmo e della policromia. Il ritmo ci accompagna nei passaggi lirici che egli riesce a disegnare, quando tenta di rompere il sipario magico e mitico che avvolge il suo mondo. La policromia ci rapisce nelle esperienze di una trasformazione interiore ed esteriore che il protagonista avverte nel cercare di superare apparenze e percezioni che dominano questo suo viaggio mitologico/simbolico. Il tessuto volutamente semplice della scrittura si dipana nella pagina, quasi luce di una ricerca di immagini, che giocoforza potrebbero essere anche compatibili in veri e propri sconfinamenti nel fiabesco, così come la narrazione ha il merito di anticipare. Da un proposito di suicidio – accennato nelle prime battute – alla suprema conoscenza, ritrovata nelle ultime.

Così appare il viaggio – esteriore ma intimo – di questo giovane viaggiatore; e nel procedere del suo personale coinvolgimento si accentua quel sentimento misterioso che appartiene alla realtà secondo una visuale forse metafisica, in espressioni sempre più lievi, limpide ed evocative. I ricordi traspaiono secondo alcuni calcoli ricchissimi di tradizioni ma sfumati nell’aura di un presente ipotetico. La fantasia si intreccia allora con complicate situazioni fiabesche, che rendono la lettura colorata per quelle figurazioni, per quelle novità artisticamente riuscite, per il ricchissimo corredo di rielaborazione che l’autore riesce a proporre, cercando di ritardare sino alla fine la sorpresa che attende sia lui come viandante stordito, sia chi lo segue tra le riga. Sembra quasi impossibile ritrovare una certa realtà in questa strana vicenda, che sollecita molto spesso la curiosità di chi legge, tra le ombre che velano gli avvenimenti e le sospensioni che attendono il protagonista. Una sorta di sinfonia in crescendo, per rimanere nella professione principe dell’autore, che oscilla tra una spontanea metaforizzazione del vissuto e una discreta inventiva da libro giallo. Ma questo non è un libro giallo, perché non si propone una traccia di colpevole, bensì si rincorre una incantata maledizione che sovrasta su di un popolo visibile ma intangibile. Forse per Pierfederici la ricerca della verità è tutta contenuta nelle angolazioni psicologiche, che resistono ed esistono nelle conoscenze dell’intimo umano, nelle esperienze esistenziali, colte in un momento storico del tutto particolare, nel quale l’Io viene scaraventato nel mondo, sia esso tangibile, sia esso immaginario. Il rifugiarsi nell’introspezione e lo sbrigliarsi delle energie occulte diventano in questo lungo racconto un’arte barocca, che gioca tra l’amore irraggiungibile e le segrete profezie plasmate dal fantastico. Il mistero ha l’incanto del poemetto, quasi funzione di elevazione riferita orficamente al regno dell’iperuranio, ove le diverse strade percorse diventano erratica esistenza di sogni e di fantasmi.

Stilisticamente, infine, il romanzo è saldamente costruito, secondo i canoni tradizionali, da una personale voce narrante, forse visione questa tutta autobiografica, ed una sintassi pulita, secca, calibrata, come ormai non è solito riscontrare. Caratteristiche le rievocazioni memoriali, ad evidente scavo anamnestico personale, rappresentate quasi sempre in aperture realistiche, e vincolate al particolare di una sfera rarefatta e metafisica. Egli cerca di imbrigliare il suo furore espressivo, ricco di sussulti e rimbalzi, riducendo la prosa con interventi nei quali si esalta la musicalità della scrittura.


di Antonio Spagnuolo - Literary

Aprile 2012







RITORNO AL TEMPO CHE NON FU




L’immagine di un uomo logorato nello spirito, abbattuto da obiettivi professionali non raggiunti apre Ritorno al tempo che non fu, esordio di Alessandro Pierfederici, pianista e direttore d’orchestra trevigiano.

Il protagonista è passivo, refrattario, quasi spento, ma per nulla confuso: la sua logica del “limite del gesto estremo” rivela una sinistra e quasi matematica consapevolezza di ciò che gli si muove dentro e che si sta preparando a colpire. Tutto sembra già pronto per la capitale esecuzione: luogo, strumenti, ora approssimativa. Manca solo l'atto materiale.

Il fatto stesso che l’Autore in principio d’opera eviti di chiamarlo per nome potrebbe denotare una presa d’atto dell’idea che il soggetto in questione debba darsi per “spacciato”. Sconfitto dai fallimenti accumulati da un destino che ritiene essergli avverso in tutto e che forse riuscirà a sconfiggere solo attraverso il disperato atto che si prepara a compiere.

Passano i giorni, eppure l’ora dell’esecuzione non arriva. E proprio quando, quasi per caso, il nostro uomo si ritrova nuovamente sul luogo prescelto, accade qualcosa: un incontro, una visione, un gioco di specchi… o forse una botta in testa chi può dirlo? Il bello di questo romanzo risiede, a mio avviso, proprio nel valore dato al concetto di possibilità e alle mille strade che si offrono all’interprete che legge.

Il protagonista inizia un inseguimento, che poi diviene smarrimento, che poi diviene confusione, che poi diviene esplorazione. Cala la notte e dall’oscurità di una boscaglia che ricorda vagamente i primi versi di un ispirato poeta fiorentino del tredicesimo secolo emergono due luoghi: presso il primo il nostro viandante si fermerà a riflettere, presso il secondo troverà riparo dalle insidie di luoghi sconosciuti e disabitati.

Una casa di campagna dove chi vi dimora lo accoglierà come “ospite a lungo atteso”. Una personalità quasi fiabesca, di una bellezza tale da lasciare incerti persino sulla sua reale esistenza. E il dubbio assolve in questo libro una funzione essenziale, perché parte destabilizzando, ma rimescolando le carte conduce e nuove verità.

Per il nostro eroe sarà una notte strana che sancirà l’inizio di un viaggio proteso alla rivelazione di un’antica storia che progressivamente lo allontanerà dal suo intento originario, mettendolo a contatto con un angolo di mondo sconosciuto e, allo stesso tempo, con una rinnovata dimensione di vita che ormai non sembrava auspicabile.

Strappato alle sue giornate, l’aspirante suicida muove i primi passi lungo un sentiero irto di prove e personalità ambigue, alla ricerca di un significato che possa giustificare il suo vagare e spiegare la presenza sempre più ingombrante di una leggenda che sembra perseguitarlo.

I legami con la vita sembrano assottigliarsi, in un gioco d’immagini eteree e suoni talvolta distanti, ovattati. L’idea di proseguire senza considerare di ritornare indietro, che da suggestione si trasforma in scelta convinta. La possibilità che i nuovi scenari che si aprono davanti agli occhi possano riguardarlo in prima persona e che nulla di tutto ciò che avviene sia casuale.

La sciarada di suoni, riflessioni, simboli e immagini oniriche tracciata da Pierfederici è un astuto costrutto, perché gli consente di muoversi con disinvoltura nel corso della struttura narrativa; un contesto in cui dimostra capacità di rappresentazione e consapevolezza dei propri mezzi.

Una sensazione di lotta contro qualcosa di inesorabile attraversa ogni istante di questa avventura, un male radicato che chiamerà il viandante ad affrontare nuove e temibili prove; ognuna di esse tesa al raggiungimento di un comune traguardo; perché questa è una storia che parla di uno e di tutti, dove interiorità ed esteriorità si fondono e si confondono, che parla di un viaggio materiale, spirituale, temporale teso a una riconciliazione con la vita, con se stessi, e infine, col mondo intero.

Una volta chiuso, il romanzo lascia la sensazione non di aver letto un libro, ma di aver vissuto un sogno in cui ognuno di noi è stato almeno una volta partecipe e che sa rendere onore a questa straordinaria, leggiadra, cinica e un po’ assurda avventura che è la vita.


di Christian Di Masi - Literary

Aprile 2012






RITORNO AL TEMPO CHE NON FU


Le infinite vie dell’arte sanno a volte confondersi ed intrecciarsi, dando vita a nuovi elementi. E’ un tornado di emozioni che trova rifugio nel libro d’esordio Ritorno al tempo che non fu di Alessandro Pierfederici. [... ...]

L’autore del romanzo, noto musicista, nella sua “opera prima” racconta di un viaggio intrapreso da un giovane, insoddisfatto sia in campo lavorativo che sentimentale. Proprio questa frustrazione e delusione verso la vita, lo porterà a compiere un gesto estremo, interrotto da un significativo segnale. Dopo numerosi eventi, un incontro in particolare cambierà la sua esistenza. E così il viaggio intrapreso non sarà solo terreno, ma introspettivo, volto al passato. E’ dai ricordi e dai valori con cui si è cresciuti, che bisogna ripartire per risolvere il proprio disagio. “Scritto come su uno spartito, il libro focalizza l’attenzione su un uomo e sul suo cammino verso la redenzione e la salvezza. E’ un viaggio in cui avviene la sovrapposizione di tempo presente e passato, con accenni alla fiaba e all’esoterismo in cui l’uomo ripercorre la sua vita per realizzare una rinascita” (Marisa Pumpo Pica). La musica, primaria passione dell’autore, è spesso presente all’interno del romanzo, non nella sua pura essenza, ma nel ritmo di lettura. Figlie della stessa madre-arte, combinandosi tra loro, suscitano suggestioni inedite.



di Cristina Malfettone


Literary 4/2012







TRA CLASSICISMO E ROMANTICISMO L’OPERA PRIMA

DI ALESSANDRO PIERFEDERICI.



Tra fiaba e mito, l’esordio in narrativa del musicista Alessandro Pierfederici.



La ricchezza di riferimenti - religiosi, filosofici, letterari – rende “Ritorno al tempo che non fu” di Alessandro Pierfederici un esordio degno di interesse.

Personaggi tratti dal mondo delle fiabe – fate, maghi, streghe, fantasmi, principi, principesse, cavalieri, dame – popolano il racconto che rammenta un’opera lirica romantica ispirata a leggende di tempi solo sognati. Il romanzo si traduce in un viaggio nella propria interiorità, un’iniziazione che procede al ritmo di una sinfonia il cui tema portante viene prima accennato e poi ripreso più volte. La narrazione – oscillante sui binari della vita e della morte, del presente e del passato, del sogno e della realtà – pone numerosi interrogativi. Comunque lo si voglia interpretare - viaggio avvenuto durante la vita o nell’oltretomba, fuga da se stessi nel mondo della fantasia - il libro è caratterizzato da luoghi e personaggi che simboleggiano la vita e la morte, il sacro e il profano, come nelle culture di ogni popolo. Gli stessi protagonisti non sono figure piatte ma rimandano ad altro: Alessandro, il viaggiatore, è il mitico condottiero o l’autore? Cristoforo, il barcaiolo, richiama l’evangelico traghettatore? Chiara è la francescana di Assisi che offre salvezza ed eterna felicità?

Il ponticello sul fiume che scorre come la nostra esistenza viene attraversato più volte e rappresenta il passaggio dalla vita alla morte. L’amore è un motore dinamico che provoca mutamenti nella vita con un passaggio dal non-essere all’essere. L’autore invita ad aprirsi al mutamento (“Lo sconforto è una colpa che uccide la speranza”): vedere, capire, conoscere, incontrare, chiedere, ascoltare, aiutano a percorrere nuove strade liberi dai falsi tabù. Tenere presente la memoria del proprio passato e quella della storia della nostra epoca agevolano la costruzione di un diverso futuro. La storia ha certezze perché è fatta da noi “verum ipsum factum” (G. Vico).

Tutt’altro che banale è poi il titolo, un invito a fantasticare sul passato dell’umanità, sulle sue origini, sui suoi errori, sul peccato nel paradiso terrestre che, mai perdonato, perdura ancora sull’incolpevole sin dalla nascita.

Vivaci nelle Madonne di Duccio, sempre presenti con Chiara e nel rito cristiano massonico, sono i colori simbolo e gli elementi della Creazione. Negli ambienti i personaggi sono figure statuarie, quasi immobili in una calma metafisica, disposti come nei dipinti di Piero della Francesca, immersi in prospettive di aspettative tanto sospirate e a lungo anelate.

La trama, fitta e attraversata da versatili e sapienti intrecci, ricorda un arazzo ottocentesco con immagini allegoriche trapuntate di frutta e fiori. Angosce, lutti, amori tragici si mescolano con storie antiche e si susseguono veloci come salmoni, nel ciclo della riproduzione, verso la sorgente del fiume per poi iniziare una nuova vita.

“Nosce te ipsum” diceva il motto greco, iscritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi: la verità risiede in se stessi e va cercata andando oltre l’apparenza.


24 settembre 2012

di Italo Pignatelli

www.altritaliani.net





Ritorno al tempo che non fu è un libro in cui è il tempo ad essere il protagonista di una storia che affonda le proprie radici nella tradizione fiabesca pur presentando numerosi spunti di riflessione sull’esistenza e sulla morte che rendono questa lettura un affascinante viaggio nell’interiorità umana.

Alessandro Pierfederici è un musicista che si cimenta per la prima volta nella scrittura narrativa regalandoci un romanzo costruito con un ritmo sognante e armonico in cui si intrecciano come abili sinfonie, spunti filosofici e religiosi e su cui troneggia indisturbato il suono melodioso e a tratti terribile dell’Eterna Natura.

Il protagonista Alessandro (conosceremo il nome solo alla fine, quando il suo viaggio sarà concluso) è un uomo come tanti che nell’epoca moderna vive ingabbiato nelle sue insoddisfazioni e sconfitte, cercando nel suicidio l’unica possibilità di salvezza. Come una sorta di ribellione contro quel mondo che lo ha tagliato fuori, soffocandolo con delusioni e perdite, egli vuole uccidersi perché non vede altra via d’uscita. Programma tutto, persino il bosco in cui si recherà, l’albero in cui nasconderà il coltello ma giunto al momento cruciale, sarà distolto dal suo proposito dalla presenza di un giovane che prima di lui s’impossesserà proprio del suo coltello per tagliarsi le vene. Nell’attimo in cui quel misterioso ragazzo fuggirà vedendosi scoperto, per Alessandro inizierà un lungo e tortuoso cammino che lo condurrà in altre terre, attraverso ville e castelli abbandonati dove vaghi e possenti ricordi inebrieranno la sua mente fino a convincerlo che niente avviene per caso e che tutto ciò che ha visto e sentito è come se lo avesse già vissuto. Una profezia oscura e minacciosa incombe su di lui a tal punto che qualsiasi personaggio che incontra è pronto a raccontargliela come fosse una triste e angosciosa nenia che persino le voci primordiali della natura cantano fino a quando non sarà egli stesso a convincersi di essere l’uomo di cui quella leggenda racconta e che tutti speranzosamente attendono. Egli non è solo un uomo comune ma è l’emblema stesso dell’essere umano che persa la propria umanità, il coraggio, il senso profondo della vita, cerca nella morte la fine di ogni dolore. Ma è lungo il suo cammino ed egli lo compie attraverso il bosco, il fiume e le antiche mura di un poderoso castello, ritrovando lentamente e passo dopo passo la voglia di vivere, lo spirito esistenziale e soprattutto l’amore.

Anche se l’impianto narrativo è fiabesco, il linguaggio è potente e mistico tanto da rendere fortemente evocative tutte le descrizioni che l’autore dedica alla natura, che per pagine intere diventa la sola protagonista rappresentando lo specchio silenzioso in cui si riflette e rinasce l’anima del protagonista. Una natura romantica, piena di passione e tormento, in cui trabocca un intimismo quasi surreale che scavalca i limiti umani e s’impone come l’unica voce portatrice di epoche lontane e dei dolori remoti provenienti da tutti i luoghi e tutti i popoli. Mentre Alessandro inizia questo viaggio perché ha perso la sua umanità, è vuoto, spaesato, inetto, distante dal ritmo armonioso della vita, la Natura, invece, è colei che si umanizza, raccogliendo su di sé tutte le forze del bene e del male dell’esistenza e le infonde nuovamente nell’uomo che compie inconsapevolmente questo viaggio. Egli è l’uomo comune e il pellegrino, il viandante e il principe. Egli è colui che salva e verrà salvato, la sua anima rappresenta l’anima del mondo intero che si sta perdendo.

L’autore ci mostra come sia possibile salvarsi in un mondo che ci rende alienati, recuperando il contatto con noi stessi e con la natura in cui si conservano le forze antiche e primordiali, forze che appartengono anche a noi e che ritornano incessanti a ricordarci che quello che siamo adesso non è altro che quello che eravamo un tempo, perché in ognuno di noi, oltre la coltre fredda e fumosa della superficialità, si nasconde ancora intatto il soffio eterno dell’immortalità. E per chi ancora si chiede cosa sia l’eternità, sappiate che essa non è nella carne dell’uomo, ma nel suo spirito, perché nessuno vivrà per sempre, ma ci sarà qualcuno che sarà immortale, perché l’eternità è nello spirito antico in cui si conservano intatti i veri valori di un tempo, gli unici valori di un mondo autentico.


di Antonietta Mirra

SoloLibri.net







Il viandante, la memoria,  la bellezza

Magiche cadenze sinfoniche nel romanzo “Ritorno al tempo che non fu”

Il lettore, come in una magica evocazione, è chiamato a essere pietoso spettatore della vicenda umana del protagonista e, al contempo, curioso osservatore dei dettagli di una trama che porterà lentamente alla scoperta di una diversa realtà. Infatti, il romanzo Ritorno al tempo che non fu di Alessandro Pierfederici invita (costringe?) a una complessa esperienza fatta di dolcezza e durezza a un tempo.

In una magia, in una sinfonia che integra natura e cultura, la vicenda prende il via da un mancato suicidio e da un incontro inatteso. Il protagonista si trasforma in un viandante, in un pellegrino: la sua esperienza è quella del romantico Wanderung, in cui il viaggio è sempre sul punto di trasformarsi in un’anarchica erranza, con il rischio di perdersi in una natura che, a sua volta, oscilla fra l’armonioso ordine del creato e la perfida oscurità della tenebra. Fin dalla sfida contenuta implicitamente nel titolo (può un tempo che non fu essere narrato? può un tempo che non fu essere recuperato alla memoria?), il racconto si snoda con un’evoluzione continua e quasi labirintica che sembra riportare a esperienze ed espressioni del miglior romanticismo.

Il lavoro di Pierfederici offre immediatamente uno spunto di riflessione assai evidente, proiettando, nello svolgimento della trama, l’esperienza romantica prima ricordata in una postmodernità che sembra non aver più paradigmi e categorie interpretative da usare: il tempo che non fu è letteralmente il nostro passato che siamo chiamati, di volta in volta, a reinventare, in funzione delle conquiste del nostro presente e della nostra proiezione verso il futuro. In questa narrazione, potremmo, forzando i termini per lasciar intendere la suggestione che vorremmo proporre, il passato non è il già accaduto, ma esso si ripresenta sotto spoglie diverse nelle varie tappe che l’errante protagonista affronta.

I luoghi – villa, castello, borgo, fiume – assumono connotazioni differenti ed evocano eventi che passano dall’essere dolorosi e misteriosi all’essere delicati e piacevoli. In questa vicenda il sogno confina necessariamente con l’incubo e la memoria prepara la prospettiva sul futuro. La doppiezza dell’amore, nella dialettica tra perduto e trovato, alimenta la delusione e la speranza. La bellezza del passato può essere raccontata – come è comunemente accaduto nell’impatto fra i viaggiatori del Grand Tour e le vestigia italiane – come un segno di un ricco passato perduto per sempre e capace, quindi, di assecondare la tentazione per la nostalgia. Dove inizia, a questo punto, la “missione” artistica, a cospetto di uno scenario di vestigia e di resti di un passato che sembra fuggito per sempre? La bellezza, una volta appresa anche nel suo svanire, nel suo mostrarsi come residuale, costringe l’artista, il narratore, il pellegrino, a un inseguimento che può avere come costo la vita stessa o l’infrangersi dei propri sogni. Il gioco potrebbe continuare ancora, come nei migliori romanzi del doppio, come nelle favole maligne di Hoffmann, come in un quadro terrificante di Füssli, come nelle pagine di Goethe.

La vicenda potrebbe essere riassunta come il percorso che porta il protagonista da un tentato suicidio alla conquista dell’amore. Questo percorso, questo pellegrinaggio, è anche il ritorno a se stessi e alla propria storia. Questo nostro povero riassunto appare però ingiusto e quasi grossolano, perché non può rendere conto della fatica del pellegrino che accetta di attraversare un mondo fatato allo scopo di riportarlo alla realtà. Pierfederici è un musicista e questo romanzo è la sua prima incursione nella scrittura narrativa. La sua ricerca ci offre un romanzo costruito con ritmo sognante come una sinfonia che armonizza suoni diversi.


di Antonio Fresa

LucidaMente




Ritorno al tempo che non fu

“Non capivi, non parlavi, non chiedevi”. Se non cadiamo in errore ricorre più di una volta questo mantra nel corso del viaggio del protagonista. Perché a tutti gli effetti siamo in presenza di un testo dedicato alla viandanza, ma non può negarsi, citando il richiamo tra caporali, il carattere iniziatico di tale percorso, come peraltro da tradizione. Quindi siamo in presenza di un “viaggio iniziatico”, le cui tappe si susseguono nella densità di un immaginario che oscilla tra fiabesco e fantasy.


Ripartiamo allora dall’inizio. Alessandro decide di togliersi la vita, ma prima di compiere l’insano gesto decide di nascondere il coltello scelto per l’atto definitivo in un bosco. Di qui prende le mosse un cammino che lo porterà all’interno di ambientazioni, epoche e leggende che nella varietà dei toni in realtà celano sempre lo stesso destino, la medesima fiaba. In un progressivo déjà vu il protagonista assume man mano consapevolezza e comprende che la vita non è nel poco che conosciamo, ma nell’esperienza dell’ignoto, nella curiosità verso l’inaspettato perché proprio in ciò che non sappiamo, paradossalmente, troviamo noi stessi, la nostra vera natura, altrimenti assuefatta al quotidiano ripetersi del tempo. E così l’esperienza diviene l’unica possibilità di salvezza, assieme all’amore che dell’esperienza è comburente.

Emerge dalla scrittura di Pierfederici, che scorre fluida e chiara come il fiume che è teatro delle vicende dei protagonisti, una vena intensamente romantica: l’irrazionale, il mistero, la spiritualità sono tutti ingredienti che concorrono a rendere quanto mai speziato il racconto. Allo stesso tempo, però, la fuga verso il fantastico viene messa a freno da una sponda introspettiva - tipica del romanzo novecentesco - sempre presente, quasi che gli eventi occorsi fossero occasioni di riflessione su se stessi.

In sostanza, una molteplice offerta di lettura che spazia tra generi e filoni letterari e approda là da dove si era partiti, ma con la negazione del gesto suicida perché infine il protagonista capisce, parla, chiede. Un libro da consigliare a qualsiasi lettore di qualsiasi età.



di Ginevra Grisi



http://www.literary.it/dati/literary/grisi_ginevra/ritorno_al_tempo_che_non_fu.html